Garante
Privacy: su social e media troppi dettagli sui malati
2 aprile 2020 –
Il Garante per
la protezione dei dati personali sta ricevendo segnalazioni e reclami con
i quali viene lamentata, da parte dei famigliari, la diffusione sui social e sugli
organi di stampa, anche on line, di dati personali eccessivi (nome, cognome, indirizzo
di casa,
dettagli clinici) riguardanti persone risultate positive al Covid 19.
- Anche in una situazione
di emergenza quale quella attuale, in cui l’informazione mostra tutte le
sue caratteristiche di servizio indispensabile per la collettività, non
possono essere disattese alcune garanzie a tutela della riservatezza e della dignità
delle persone colpite dalla malattia contenute nella normativa vigente e nelle
Regole deontologiche relative all’attività giornalistica.
- Si ritiene pertanto
doveroso richiamare l’attenzione di tutti gli operatori dell’informazione
al rispetto del requisito dell’"essenzialità" delle notizie
che vengono fornite, astenendosi dal riportare i dati personali dei malati che
non rivestono ruoli pubblici, per questi ultimi nella misura in cui la conoscenza
della positività assuma rilievo in ragione del ruolo svolto.
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- In ogni caso devono essere
evitati riferimenti particolareggiati alla situazione clinica delle persone affette
dalla malattia come prescrive l’art. 10 delle Regole deontologiche citate.
- Tali cautele - che non pregiudicano comunque un’informazione efficace
sullo stato dell’epidemia o eventuali comunicazioni che le autorità
sanitarie e la protezione civile ritengano necessario fare sulla base della normativa
emergenziale vigente - operano a prescindere dalla circostanza che i dati siano
resi disponibili da enti o altri soggetti detentori dei dati medesimi ed inoltre
salvaguardano le tante persone risultate positive al virus, e poi guarite, da
una “stigmatizzazione” permanente, resa possibile dalla diffusione
delle notizie sulla rete.
- L’obbligo di rispettare la dignità e la
riservatezza dei malati vige anche per gli utenti dei social, a cominciare da
alcuni amministratori locali, che spesso diffondono dati personali di persone
decedute o contagiate senza valutarne interamente le conseguenze per gli interessati
e per i loro famigliari.