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Garante:
fax e mail promozionali, illeciti senza consenso
Garante Privacy ribadisce le regole contro lo spamming
25 giugno 2010 - L’Autorità, a seguito di segnalazioni di imprese,
enti e singoli cittadini, ha vietato l’ulteriore trattamento di dati personali
a quattro società che inviavano pubblicità tramite fax o e-mail
senza aver acquisito il consenso preventivo e specifico dei destinatari.
Tre di esse spedivano sistematicamente fax promozionali credendo di poter disporre
liberamente dei dati, estratti da elenchi categorici (Pagine Gialle, Pagine Utili,
ecc.) o pubblici (ad es. banche dati delle Camere di commercio, albi professionali,
ecc.).
Nel quarto caso, un messaggio via mail era stato inviato da una società
che aveva rintracciato il recapito del destinatario sul web. La società
che aveva effettuato lo spamming, si era considerata libera di poter disporre
dei dati di un’altra azienda che si era registrata su un sito fieristico.
Con quattro distinti provvedimenti [doc. web n. 1719901,
1719891,
1727662
e 1729175]
il Garante ha riaffermato il principio che, a prescindere da dove vengano estratti
i recapiti, chiunque invii messaggi promozionali mediante sistemi automatizzati
(fax, e-mail, sms, mms), è sempre obbligato a raccogliere preventivamente
il consenso specifico ed informato dei destinatari.
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Il mancato rispetto del
divieto, ha ricordato il Garante, comporta le sanzioni amministrative e penali
previste dal Codice privacy. Per il risarcimento di eventuali profili di danno
le vittime dello spam possono comunque far valere i propri diritti in sede civile.
La battaglia del Garante contro i fax indesiderati incontra tuttavia serissimi
ostacoli nella differenza tra le legislazioni degli Stati europei. Diversi sono
infatti i Paesi, come ad esempio la Gran Bretagna e la Francia , nei quali la
disciplina sulla protezione dei dati personali non garantisce le persone giuridiche
e che pertanto impedisce all’Autorità omologa a quella italiana di
poter contrastare l’invio di fax senza consenso diretto a ditte, enti o
società. Si tratta di un fenomeno che preoccupa l’Autorità
italiana perché ne limita la capacità di intervento e dimostra che
l’armonizzazione tra le legislazione in materia di protezione dati è
ancora incompiuta. |
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